Il coronavirus continua la sua diffusione. La sua mortalità, inizialmente snobbata perché inferiore alla stessa influenza stagionale, ha ora superato abbondantemente le percentuali della diretta concorrente. Intanto le scuole chiudono per una settimana in tutta Italia e dalla Lombardia arriva la notizia che gli ospedali sono ormai prossimi alla saturazione.
Intanto parenti ed amici si prodigano ad inviare messaggi di sedicenti medici che continuano a raccomandare di lavarsi le mani, di complottisti che vedono nella diffusione del coronavirus in Italia il frutto di una sorta di rivalsa di USA e Francia contro l’Italia per il trattato commerciale stipulato tempo fa con la Cina (la fantomatica Nuova via della seta), di persone che hanno nulla da dire, ma intanto scatenano il panico generale. E non manca chi invia messaggi farlocchi spacciandoli come decreti del consiglio dei ministri.
Insomma, sembra che questo fenomeno influenzale sia diventato, in poco tempo, l’unico argomento di discussione. Anche nei bar dello sport, ormai, non si parla d’altro che di questo batterio che è riuscito nell’impresa di mettere in discussione la disputa del campionato di calcio.
Ma proviamo a fare il punto della situazione. Il coronavirus non è altro che una influenza. Il problema, quindi, non dovrebbe essere di una nazione o di un’altra, ma di ogni persona che sta sotto il cielo. Il fatto che risulti fatale per persone anziane e magari dal quadro clinico già compromesso lo rendono una emergenza diffusa e dovrebbe incoraggiarci a vigilare e magari lavorare insieme per una soluzione dell’epidemia. Eppure, in questo periodo, l’Italia si scopre sempre più isolata tanto sul piano commerciale che internazionale.
In parte si può ritenere come il normale contrappasso che paghiamo per essere stati gli unici, a livello mondiale, a chiudere i collegamenti aerei con la Cina per timore del contagio. Ora che il virus è anche in Italia è difficile chiedere, come fa il nostro ministro degli esteri Luigi Di Maio, che gli altri Paesi non chiudano le porte agli italiani.
In parte, però, questa situazione di progressivo isolamento è espressione di una mancanza di maturità dell’Europa che, al di là delle belle parole di qualche capo di stato europeo, piuttosto che sostenerci ci denigra e danneggia colpendo alcune delle nostre eccellenze (è il caso ad esempio della satira della tv francese Canal+ contro la pizza o del rifiuto del Grana Padano perché “privo di una bollinatura virus free” da parte della Grecia).
Naturalmente è facile immaginare che i cosiddetti populisti si potranno servire di questo atteggiamento per serrare i ranghi e presentare l’Italia come la Cenerentola d’Europa, l’Unione come una “matrigna” e Francia, Grecia e quanti un po’ alla volta ci stanno isolando, come “perfide sorellastre”.
Cosa possiamo fare per uscire da questa situazione? Intanto recuperare una visione equilibrata della realtà interna e circostante.
Il grande Sergio Zavoli, anni fa, parlando ai giovani della Tendopoli di San Gabriele (TE), consigliava – nello scegliere un quotidiano – di accertarsi che la prima pagina non avesse solo notizie a carattere nazionale.
Da quando è iniziata l’emergenza coronavirus in Italia sembra che i giornali non abbiano altre notizie da offrire. Per settimane le maggiori testate italiane hanno dedicato a questo morbo le prime 15 (ma forse anche 16 e 17) pagine dei propri quotidiani relegando notizie del calibro della guerra in Siria, dei migranti ammassati alle porte della Grecia respinti con armi e gas lacrimogeni, dell’imminente referendum costituzionale (29 marzo, salvo rinvii), alle pagine più interne. Senza contare le numerose notizie che restano fuori (come è stata ad esempio l’approvazione del decreto intercettazioni di cui ho parlato in un altro post).
Quale immagine si pensa di offrire del bel Paese agli osservatori internazionali?
E quale attenzione mostriamo di avere alle problematiche degli altri Paesi?
E quale messaggio offriamo agli italiani quando denunciamo il dilagare del virus dimentichi dei segni di speranza che pure non mancano?
Non intendo con questo sminuire la gravità della situazione, ma credo che una riflessione sia doverosa: la sanità italiana, pur con tutti i suoi limiti, è sicuramente all’avanguardia. Il fatto di aver già isolato il ceppo italiano del nuovo coronavirus dovrebbe infondere un certo ottimismo per via del fatto che questo spiana la strada della ricerca di un potenziale vaccino. E invece continuiamo a creare un allarmismo che, nel migliore dei casi, paralizza la nostra vita sociale e rallenta ancora di più una economia non proprio florida.
La prima vera forza dell’Italia è il genio, la seconda è la solidarietà del suo popolo. Diamo a vedere questo dentro e fuori il nostro bel Paese e anche oggi, come sempre in passato, saremo guardati non con sospetto, ma con ammirazione e, diciamolo pure, una punta di invidia.