Mario Draghi, santificato dai più. Manca solo papa Francesco…
A breve il 17 febbraio diventerà memoria liturgica obbligatoria: il papa, continuamente chiamato in causa durante il dibattimento per il voto di fiducia al Presidente Mario Draghi, è ormai uno dei pochi a non aver ancora santificato il grande economista diventato anche valente capo del Governo italiano. Lo hanno fatto, fin qui, ampia parte dei partiti e della stampa nazionale (compreso l’Avvenire, il quotidiano dei vescovi italiani).
Un discorso severo per tutti.
Il discorso di ieri, bisogna dirlo, non ha fatto una piega: lungo, certo, ma incredibilmente lucido e preciso. D’altra parte non poteva essere diversamente: quest’uomo della finanza prestato alla politica ha sempre avuto una “mens” molto lucida e una abilità particolare nel prevenire i problemi e predisporre eventuali soluzioni.
“Chi è lo’ re”?
Non è un caso che nel suo discorso sia riuscito a mettere in scacco (qualche volta anche in crisi!) membri della maggioranza dei più diversi colori. Sembra il proverbiale “Mettere le mani avanti per non cadere dietro”: un modo per ricordare a tutti gli azionisti di questa maggioranza di mille colori, “chi è il Capo” (del Governo).
Bocconcini amari…
Il presidente Draghi conduce una relazione in cui non risparmia bocconcini amari a nessuna forza politica. Alla fine, una quindicina di grillini esprimeranno un voto in dissenso (pagandolo con l’espulsione dal movimento) e anche certa sinistra ha dovuto ingoiare il boccone amaro di sentir parlare di politica dei rimpatri e al coinvolgimento dei parthner europei in una “Effettiva solidarietà” nella ricerca di una soluzione alla questione dei migranti.
Le vere batoste…
Le batoste più forti, però, sembra averle prese il leghista Matteo Salvini a cui il presidente incaricato si è riferito, neppure troppo velatamente, andando ad esprimere giudizi tutt’altro che benevoli su alcuni dei temi più cari alla “banda Salvini”:
- Sull’Irpef: dicendo che occorre «Semplificare e razionalizzare la struttura del prelievo, riducendo gradualmente il carico fiscale e preservando la progressività», in barba alla “flat tax”;
- sull’Euro: dichiarando che «Sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro» (il senatur, solo il giorno prima, aveva dichiarato che di irreversibile c’è solo la morte…”;
- Sull’Europa: qui c’è stato l’affondo più interessante, anche perché – data la finezza che lo contraddistingue – il presidente Draghi ha di fatto scatenato un polverone soltanto alitando l’idea di di una cessione di sovranità nazionale in favore di una sovranità condivisa. Ha detto: «Gli Stati nazionali rimangono il riferimento dei nostri cittadini, ma nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa. Anzi, nell’appartenenza convinta al destino dell’Europa siamo ancora più italiani, ancora più vicini ai nostri territori di origine o residenza. Dobbiamo essere orgogliosi del contributo italiano alla crescita e allo sviluppo dell’Unione europea. Senza l’Italia non c’è l’Europa. Ma, fuori dall’Europa c’è meno Italia».
La questione dell’Europa
Su questo passaggio, i politici e i giornali, per una volta bipartisan, hanno ritenuto che il nuovo Presidente del Consiglio stesse professando la necessità di pronarsi a braghe calate davanti ai parthner europei: occhi a cuoricini sono apparsi in certi rappresentanti di una sinistra ormai incapace di cercare il favore degli operai e quindi piuttosto impegnata a cercare il favore dei burocrati europei; lacrimucce, invece, sono state viste comparire sugli occhi di certi sovranisti (veri o presunti) presenti e passati che hanno ricevuto questo passaggio come sale su una ferita; fumo dal naso e dalle orecchie, invece, per i dissidenti 5S (alla fine una quindicina, immediatamente espulsi dal partito/movimento) che hanno letto in questo passaggio il rivelarsi di un vero e proprio “incappucciato della finanza” (espressione che trova origine da un omonimo libro dell’economista keynesiano Federico Caffé e citata da Gianluigi Paragone di Italexit).
Eppure a ben vedere, non è che Draghi abbia in questa frase pronunciato chissà quale profezia d’avvenire: ha solo letto la situazione per quella che è! «Gli stati nazionali rimangono riferimento per i cittadini» e fin qui non c’è nulla da eccepire. «Ma nelle aree definite della loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquisire sovranità condivisa» è esattamente quello che avviene ogni volta che si accetta di fare parte di una comunità più ampia. E di solito, questo produce solo benefici… Prendiamo il caso della Pandemia e dell’approvigionamento dei vaccini: Il fatto di rinunciare ad acquistarli personalmente, ma di fare un unico acquisto come Europa, salvo poi fare che l’Europa stessa provveda alla distribuzione delle dosi, significa da una parte spendere di meno, dall’altra riuscire avere una sicurezza. Perché l’Italia (grande storia, ma piccola superficie e minimo popolo) da sola non avrebbe mai avuto tanto potere contrattuale quanto Inghilterra, Francia, Germania, ecc. quindi è chiaro che «Fuori dell’Europa c’è meno Italia» e che possiamo essere fieri del nostro contributo al destino dell’Europa.
Che poi si sa: nessuno è contrario a cedere un po’ di sovranità nazionale all’Europa per avere una sovranità condivisa, se ad essere condivisi sono anche: i livelli di servizi (es. la sanità), i livelli di reddito; la pressione fiscale. Ma finché questo non avviene, parafrasando Massimo D’Azeglio, verrebbe da dire che «Fatta l’Europa, bisogna fare gli Europei».
La variante Draghi.
Intanto però in Senato è andato in scena lo spettacolo che non ti aspetti. Tutti, ciascuno suo modo, ha accusato il colpo, eppure – come ha acutamente osservato l’ascoltatore di una trasmissione di una nota radio a diffusione nazionale – in Senato ieri ci doveva essere «un tasso di umidità altissimo» da attribuirsi – secondo lo stesso ascoltatore – all’impegno, profuso dagli alti rappresentanti del popolo italiano, nel riverire l’eroico neo Presidente del Consgilio dei Ministri. L’ascoltatore, ha sintetizzato tutto in un più conciso ed efficace: «Slinguavano tutti!».
Ciascuno pronto a rinnegare le proprie storiche convinzioni e battaglie, pur di strattonare il neopresidente del Consiglio per la giacchetta. In pratica una banda di scolaretti che cercano di arruffianarsi il professore… Al punto che la senatrice Anna Maria Bernini (FI) ha invocato una “Variante Draghi” per il bene del Paese.
Ma tornando alla memoria liturgica del 17 febbraio, se papa Francesco avesse bisogno di qualche miracolo per giustificare la canonizzazione del presidente Draghi, non mi concentrerei tanto sul fatto di aver convertito l’anti-europeista Salvini (amico di LePain e AfD) in convinto europeista che inizia il suo intervento con tre “Evviva l’Europa!” connotata a modo suo, ma per il fatto di essere riuscito a far sembrare anche Salvini, spenti gli isterismi del “prima gli italiani” e al netto di qualche “Ponte sullo Stretto” quasi una persona di buon senso. Tutto merito di Mario Draghi. Ora sì, che possiamo canonizzarlo!
«Dobbiamo essere più orgogliosi»
Prima di chiudere, però, permettetemi di condividere con Mario Draghi lo stupore. Lo stupore per come “gli italiani siano così poco orgogliosi del proprio Paese”. A me è capitato nel mio piccolo andando in giro in Europa e nel mondo vedere l’ammirazione dei miei interlocutori quando mi presentavo come italiano. Draghi, da par suo, ha una esperienza e un bacino di confronto ancora più vasto e mi fa piacere che ci abbia detto come: Mi sono sempre stupito e un po’ addolorato in questi anni, nel notare come spesso il giudizio degli altri sul nostro Paese sia migliore del nostro. Dobbiamo essere più orgogliosi, più giusti e più generosi nei confronti del nostro Paese. E riconoscere i tanti primati, la profonda ricchezza del nostro capitale sociale, del nostro volontariato, che altri ci invidiano».
Caro Presidente è vero: Siamo un Paese meraviglioso, ricco di storia, di arte, di capacità e di cuore. Il problema è che di solito nei notiziari non vediamo il padre di famiglia che torna a casa sfinito dalla giornata di lavoro per mantenere i figli, ma questa classe politica; non vediamo le infrastrutture eccellenti che il genio italiano ha prodotto ed esportato nel mondo, ma una classe politica presa dalla corsa alle bandierine, che di fatto blocca il Paese; non vediamo la valorizzazione della nostra arte e dei nostri musei a cielo aperto, ma la deturpazione dei monumenti ad opera di qualche tifoso che ritiene di poter fare quello che vuole (sia esso tifoso di calcio, di partito, o di qualche gruppo blackblock) e anche lì, certi politici invece di pensare a come tutelare il Paese prendono le parti pro o contro questi bravi signori. Signor Presidente: io sono orgoglioso di essere italiano. Non me ne vergogno. Al limite un po’ di imbarazzo si ha, quando ammettere di essere italiani significa dover essere rappresentati da tanti Ciampolillo di ieri e di oggi.